PIERO BACCA
• Un investimento da 25 milioni di euro, impianti tecnologicamente all’avanguardia e impatto ambientale pari a zero. Ma soprattutto la possibilità di trasformare gli scarti organici in risorsa, in linea con i nuovi processi di gestione dei rifiuti previsti dal Piano regionale. Sarà una vera e propria «fabbrica del compost», quella che sorgerà in una vecchia cava tra Lecce e Cavallino, in località Masseria il Pino, un’area degradata che già in passato era caratterizzata dalla presenza del vecchio inceneritore Saspi e che ora verrà riabilitata da un moderno impianto a servizio dell’Ambito territoriale. In sostanza, la parte dei rifiuti organici prodotta dalla popolazione del bacino d’utenza verrà trasformata in fertilizzante di qualità da immettere sul mercato.
Il progetto, avviato nel 2004 dalla società Ecologia Levante - anticipando quelli che sarebbero stati gli orientamenti della Regione in tema di smaltimento dei rifiuti - ha già superato in conferenza dei servizi il faticoso test della Valutazione d’impatto ambientale (Via). Una procedura durata 9 mesi, in cui sono stati valutati positivamente tutti gli aspetti tecnici ed ecocompatibili contenuti in un corposo studio connesso al progetto.
La zona in questione ha una superficie totale di 5 ettari e la struttura verrà realizzata sul fondo della cava, circostanza che eliminerà anche il problema dell’impatto visivo. Tecnicamente si chiamerà «impianto di digestione anaerobica della frazione umida», indicando così un trattamento che dovrà avvenire in assoluta assenza di ossigeno in 12 silos-digestori ermeticamente chiusi. Una lavorazione, dunque, che non comporterà la dispersione di odori o di gas naturali che costituiscono il sottoprodotto dei processi di trasformazione naturale, quali il metano (circostanza che si verifica, invece, nelle normali discariche). Questi gas, infatti, verranno convogliati in tre cogeneratori dotati di marmitte catalitiche (che costituiscono l’unico punto di emissione) e collegati ad un alternatore che sarà in grado di produrre 3 megawatt di energia da immettere nella rete nazionale.
A illustrare quali saranno le fasi di lavorazione è l’igegner Piero Licignano, che sin dall’inizio ha seguito il progetto.
«L’impianto - spiega - si compone di 12 dodici “dig estori” nei quali verrà conferito il rifiuto organico. Qui avverrà la prima fase anaerobica della lavorazione che renderà il materiale inerte. Questo verrà poi depositato su un piazzale coperto per una ulteriore maturazione. Il compost, in seguito, verrà avviato alla seconda fase del trattamento in una serie di vasche. Ad attenderlo ci saranno i “lombrichi rossi della California” che lo muteranno in humus pronto per essere impacchettato. Nel complesso - spiega il progettista - l’intero ciclo di lavorazione durerà una settantina di giorni e soddisferà il fabbisogno di tutto il bacino - ed anche qualcosa in più - per quel che riguarda il trattamento della frazione organica».
Qualche cifra serve a darne la dimensione. La struttura avrà la capacità di accogliere e trasformare 91mila tonnellate di rifiuti organici, vale a dire 250 tonnellate al giorno. Considerato che l’Ato Lecce 1, con i suoi 26 comuni, ne produce 200, si comprende che le esigenze del bacino saranno ampiamente coperte, con qualche margine ulteriore di ricettività dell’impianto. Ma non è tutto. Le acque utilizzate nel processo di lavorazione confluiranno in un fitodepuratore e verranno poi sfruttate per irrigare un terreno alberato presentenella stessa area della cava. «La logica di un impianto di trasformazione - spiega l’in - gegner Licignano - è che tutto ciò che entra deve poi uscirne, come una risorsa, altrimenti sarebbe una discarica. Di strutture come questa - prosegue - in Germania ve ne sono circa quattromila e quasi ogni azienda agricola ha il suo “dig estore”. Si pensi, che un grande impianto di questa tipologia si trova vicino all’area urbana di Monaco di Baviera».
Il progettista sottolinea che proprio la positiva Via - capolinea di un lungo e meticoloso approfondimento tecnico sullo studio d’impatto ambientale - è la migliore garanzia che i cittadini possano avere circa l’impianto. Una struttura, quindi, sulla quale si sono espressi favorevolmente Regione, Provincia, Comune di Lecce, Asl, Arpa e Vigili del fuoco; in pratica tutti gli enti e gli organismi preposti alla gestione e al controllo del territorio. E c’è da considerare un altro aspetto legato alla conferenza dei servizi. Il decreto legislativo 152 del 2006 , all’articolo 208, spiega che «l’approvazione sostituisce ad ogni effetto, visti, pareri, autorizzazioni e concessioni di organi regionali, provinciali e comunali e costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico, comportando la dichiarazione di pubblica utilità, urgenza e indifferibilità dei lavori». Il consiglio comunale, dunque, dovrebbe limitarsi solo a «recepire» il progetto. «Che peraltro, sul piano urbanistico - spiega l’ingegner Licignano - riguarda un’area già “compromessa” da precedenti insediamenti. Una tipologia di zona che è proprio la Regione ad indicare quale sito preferenziale per nuovi impianti di questo genere». Un sito degradato che, in buona sostanza, verrà recuperato e valorizzato per fini di pubblica utilità. Quanto ai tempi di realizzazione della struttura, infine, la previsione è che possa essere approntata nell’arco di dodici mesi.